La via verso umanesimo animalista
di Maria Di Palma, dottoressa in Filosofia
L’attribuzione di diritti morali e giuridici agli animali può avvenire solo se l’uomo accetterà di intraprendere e di percorrere fino in fondo la via che porta a quello che viene definito umanesimo ecologico (Luisella Battaglia, Alle origini dell’etica ambientale).
Il paradigma culturale sotteso allo sviluppo scientifico e tecnologico che ha caratterizzato la nascita della società moderna, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, trae origine dalla concezione aristotelica dell’uomo come animale razionale: individuata come peculiarità specifica che lo distingue da tutto il resto del vivente, la ragione ne ha giustificato il dominio esercitato sulla natura.
Se uno dei principali problemi dell’epoca in cui viviamo è l’inquinamento ambientale e la riduzione delle risorse del pianeta, una delle cause sta proprio in questa concezione della realtà che fino ad oggi ha guidato l’evoluzione dell’umanità. Le scoperte della scienza e della tecnica e l’attuale sistema economico hanno certamente apportato numerosi vantaggi rispetto ai secoli passati, ma la logica con cui procedono è all’origine della graduale devastazione del nostro ecosistema.
La predominanza di una cultura che per secoli ha contrapposto l’uomo a tutto il resto del vivente, attribuendogli una posizione di supremazia ed egemonia, lo ha condotto a porsi come estraneo al mondo naturale, inducendolo a credere nella possibilità di trascendere la sua natura biologica e di poter controllare, assoggettandola, la sua fisicità e la sua finitezza.
Il dualismo tra concetti come mente/corpo, spirito/materia, cultura/natura, ragione/istinto, uomo/animale, dove il secondo termine del rapporto possiede sempre un’accezione negativa, trae origine dall’atavica paura dell’uomo nei confronti delle forze naturali e della morte, paura che tuttora lo spinge alla manipolazione continua di sé e della natura circostante, per sfuggire al comprensibile timore dell’ignoto e dell’indeterminatezza.
Questo modello culturale ha ovviamente influito anche l’ambito dell’etica, determinando dei confini ben precisi nell’attribuzione dei diritti morali e, di conseguenza, giuridici.
Inizialmente conferiti soltanto all’uomo maschio (appartenente a ceti sociali privilegiati), sono stati esclusi dal loro godimento non solo coloro che umani non erano, ma anche il genere femminile, omosessuale, e alcune popolazioni che, in base al colore della pelle o all’appartenenza ad altre etnie, sono state considerate per secoli inferiori all’uomo “bianco” europeo.
Attualmente i soggetti che non sono ritenuti degni di considerazione morale sono gli animali, i quali, a differenza delle donne o delle etnie discriminate in passato, non possono rivendicare i loro diritti: essi non solo non possiedono l’uso della parola, ma sono ormai confinati in gabbie, negozi, allevamenti, zoo, circhi, laboratori, nei casi più fortunati in aree protette, escludendo ovviamente quelli da noi eletti come “animali da compagnia”, che non sempre conducono una vita rispettosa delle loro caratteristiche etologiche.
Per questo motivo la rivendicazione dei diritti morali e giuridici degli animali si può paragonare alla battaglia condotta contro il sessimo e il razzismo solo in minima parte. Gli animali, infatti, in questo caso, sono i così detti “referenti assenti”, ovvero i soggetti a cui ci si riferisce, ma che non possono esprimere la propria voce. E’ questo un aspetto di grande rilevanza da prendere in considerazione.
Da un lato rende questo percorso di riconoscimento molto più arduo, poiché chi si batte in loro vece non ha dalla sua parte quei milioni e milioni di animali che ogni giorno sono soggetti ai soprusi dell’uomo; dall’altro lato è anche il motivo che rende questa battaglia ancora più degna di considerazione e di importanza, poiché i soggetti a cui si riferisce sono incapaci di difendersi, non in quanto inferiori, ma in quanto più deboli, come tutte quelle categorie di umani che non possono esprimere la propria opinione (i neonati, i bambini, alcuni portatori di handicap o le persone in stato vegetativo).
Estendere il cerchio della considerazione etica anche ai non umani significa riconoscere loro quei diritti alla vita, alla giustizia, alla libertà che al momento vengono conferiti soltanto a coloro che appartengono alla comunità umana.
Si tratta di riconsiderare il rapporto tra cultura e natura, tra umano e non umano, non più nei termini di una contrapposizione antitetica, ma di integrazione e di unità, poiché così è di fatto.
Per secoli l’uomo ha rifiutato la sua appartenenza al mondo naturale e questo distinzione lo condotto a distruggere, per controllarlo, l’ambiente stesso in cui viveva. Ora, se vuole sopravvivere, deve ripensare a questa relazione in altri termini. La coscienza ecologica che si è sviluppata in questi ultimi decenni ci invita a vedere l’ambiente in cui viviamo, la biosfera, come la casa in cui abitiamo e che, come tale, va curata e protetta con responsabilità assieme a tutti i viventi che ne fanno parte.
E’ necessario cambiare l’ottica che guida le nostre azioni: da un modello prettamente antropocentrico, che vede l’uomo come unico protagonista e referente del sistema morale, politico, economico e giuridico, ad un modello definito come umanesimo ecologico, dove è sempre l’uomo a rimanere l’artefice dei valori morali e giuridici, questa volta, però, non più diretti esclusivamente alla sua comunità, ma anche a quella fino ad ora ingiustamente esclusa, che comprende tutto il resto del vivente non umano.